Il rapporto tra uomo e tecnologia è da sempre uno dei temi più inflazionati nell’ambito della cultura sci-fi.
Il fascino esercitato da questi argomenti è del resto una fonte di ispirazione spontanea per scrivere sceneggiature di grande impatto e facile presa nel mercato del divertimento.
Quando le cose si fanno più serie, subentrano risvolti socio-politici. Come gli effetti della possibilità che le tecnologie del futuro, su tutte l’intelligenza artificiale e la robotica, possano sottrarre posti di lavoro, rendendo di fatto superflua la presenza dell’uomo nello svolgimento di determinate operazioni. Non mancano le proposte per attenuare l’impatto che il proliferare dei robot, puntualmente intesi quali entità fredde e scarsamente empatiche, potranno avere sulle sorti del salvadanaio delle famiglie del futuro. Bill Gates, presto sostenuto da altri influencer, ha suggerito quella che in fin dei conti dovrebbe essere la soluzione più ovvia: utilizzare le tasse versate dalle aziende che utilizzano i robot per costituire un autentico reddito di cittadinanza, utile a sostenere soprattutto quelle attività che l’uomo potrebbe implementare in virtù di quel tempo “recuperato” dal lavoro. La prospettiva ideale vede una società più a misura d’uomo, in cui le macchine lavorano e gli umani hanno più tempo per sé stessi e per coltivare nuove relazioni, implementando nuove forme di consumo. Un’astuta visione imprenditoriale? Uno slancio filantropico? Una graziosa utopia? In fondo tutti avrebbero da guadagnarci, se l’obiettivo dell’industria non fosse quello di speculare sui nuovi scenari di produttività che si prospettano.